“Con quale vestito vado al Samba al cui mi hai invitato?” Noel Rosa
Tutto ciò che succede in Birmania è triste. Triste? Terribile! Le notizie su questo distante paese occupano le prime pagine dei quotidiani e le aperture dei telegiornali in Italia e in tutto il mondo, conseguentemente i pensieri di tutti gli occidentali.
Sì, certo fa pena. Pena? Cosa cambia? Si buttano i giornali nella spazzatura (spero in quella giusta, per la carta, diverso di come fanno le mie vicine di casa), si cambia il canale per guardare l’isola degli schifosi - o non so di chi sia - e così si aspetta un altro giorno: con i nuovi news pesanti che saranno discussi nei bar, nelle pause sigaretta per tante altre ore.
Beh, la dolce vita prosegue, all’attesa di Natale, di capo d’anno e, infine, del prossimo mondiale di calcio. Ipocriti! La colpa delle società italiana, tedesca, brasiliana, americana, russa è pari a quella dei militari birmani. Gli attuali regimi dittatoriali, tranne il cubano, esistono perché l’economia capitalista neoliberale così li permette. A chi vuole una prova, basta fare un giro nei centri commerciali per tutta l’Italia nel prossimo sabato e presenziare il consumo sfrenato delle merci fabbricate dai schiavi dalla Birmania, che insieme al traffico di droghe, mantiene in vita la giunta militare responsabile del regime opressore in Birmania.
Tra le trade italiane che producono là ci sono Oviesse, del gruppo Coin, e la Diesel.
Una protesta giusta dunque potrebbe essere non comprare i prodotti dalle marche che usufruiscono dei lavori forzati, in Birmania, in Cina, in Italia. Ovunque.
I jeans detti "di diesel" potrebbero invece essere di sangue.
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